La coppia di siriani, che nella foto allegata mi sta servendo buonissimi piatti tradizionali della loro terra, aveva tre figli, due maschi e una figlia. Vengono dalla città siriana di Homs.
Sono rimasti in tre perché i due ragazzi sono morti per le bombe degli aerei russi mentre combattevano nelle file dell'"esercito libero" contro il dittatore macellaro Assad, notoriamente protetto da Vladimir Putin e di conseguenza anche simpatico a tanti italiani.
Ora i tre amici, dopo aver passato tre mesi in una tendina a Idomeni sono stati deportati in un cosiddetto campo dove hanno una tenda più grande, acqua e forse anche le docce, a volte.
La madre aveva intenzione di arrivare in Germania per cercare di fare un altro figlio. La figlia superstite non ha ancora 20 anni e chissà cosa farà.
Ovviamente sono sbalorditi e scioccati da come sono stati accolti in Europa, ma la forza di vivere vince ancora anche se sono tristi e depressi.
Non hanno ancora rinunciato a andare a nord e per questo stanno aspettando la proposta giusta di qualche trafficante per pagare e tentare la sorte. Altri che ho conosciuto sono arrivati fino al confine tra Ungheria e Slovacchia.
Come loro altre migliaia in fuga da morte e distruzione non sono rassegnati anche se la depressione si fa strada. La cosa peggiore è che i deportati non hanno nessuna idea di che fine faranno e questo presto creerà una situazione psicologicamente insostenibile per una percentuale critica delle persone coinvolte.
La beffa è che molte sanno di essere persino fortunate dato che sono ancora vive e non sono in Turchia e nemmeno ammassate al confine turco siriano come animali destinati al macello o di qua o di là.
Una generazione di siriani sta andando alla deriva e verso un trauma ulteriore, tremendo un quanto decreta al impossibilità di vedere un futuro anche minimamente decente. La fine della speranza.
Claudio Gherardini
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